L’OMINO AZZURRO

I pastori che col gregge salivano dal Travignolo verso il Rolle incontravano ogni sera, sotto il passo, una specie di omino dalla pelle azzurra, con gli occhi gialli dalle pupille rosse. Con le sue gambe corte zampettava a scatti come una rana. Le mani le teneva sempre in due tasche del ventre che aveva piene di pietre che scuoteva tra di loro. E queste tasche, con questo gran lavorare di mani e di pietre, erano diventate come due bisacce che avevano tirato giù il ventre quasi fino alle ginocchia. L’omino non parlava mai. Aveva il volto eternamente corrugato come chi ha grandi preoccupazioni o macina nel capo i pensieri urtandoli tra loro. Nondimeno egli era molto socievole e si accodava sempre ai pastori, trottando dietro loro fino al Passo Rolle con le sue tasche rumorose. Poi a un tratto nessuno lo vide più. Solo molto tempo dopo, ma era passato l’inverno ed era cominciato il disgelo, lo trovarono sotto un basso pino, giù alla piana dell’Avisio. Aveva gli occhi chiusi e il volto sereno; pareva dormisse appoggiato al tronco. Le mani abbandonate in grembo e ai suoi piedi era sparsa una piccola pioggia di pietre di quarzo. Questo posto venne chiamato “le pietre” o – come si dice nel dialetto della valle – “le prede” e proprio lì, molti anni dopo, sorse il paese di Predazzo.

Fiaba tratta dal libro “Le dita di fuoco” di Giuseppe Sebesta.

I “LIBERI PASTORI” DEL LAGORAI

Quella dei pastori del Lagorai è una storia antica, che ha rischiato di interrompersi bruscamente nel 2000, l’anno orribilis delle quote latte e di quelle direttive comunitarie che sembravano sancire la scomparsa definitiva delle produzioni d’alpeggio. A lanciare una sfida ruralista alle grandi lobby casearie nell’ottobre di quell’anno furono una decina di malghe che, forti di una tradizione secolare, costituirono la Libera associazione malghesi e pastori dei Lagorai. “Partimmo consapevoli di avere dalla nostra un elemento forte e semplice: una terra dove più che altrove si è storicizzata la civiltà di malga, e dove la vicenda del latte non è affatto un’avventura fuori dal tempo ma un’esperienza ancora aperta, rivitalizzata da un interessante cambio generazionale” racconta l’antropologa Laura Zanetti, presidente dell’Associazione. Lontani dallo stereotipo dei malgari chiusi fra i loro alpeggi, i “liberi pastori” del Lagorai (ora gemellati con le valtellinesi malghe del bitto) rivendicano il valore aggiunto e l’eccellenza di prodotti artigianali a latte vaccino crudo caseificati secondo un’arte antica. “Per prima cosa l’Associazione si è dotata di una disciplinare di produzione a delimitazione geografica” spiega Zanetti. Se è vero che il latte delle malghe del Lagorai sta al latte industriale come il Brunello di Montalcino sta a certi vini sfusi, bisogna che sia apprezzato come tale. “Il Disciplinare stabilisce i punti fermi che garantiscono l’eccellenza: si lavora solo latte bovino e caprino prodotto da animali che pascolano negli alpeggi associati; rigoroso standard sull’uso limitato di cereali; caseificazione a caglio; fuoco di legna invece che di gas; acqua di sorgente per la salamoia”. Leader dell’associazione era il vecchio Francesco Frantoi, memoria storica dei malgari del Lagorai e protagonista di un cortometraggio dal titolo Valpiana. E’ la storia di un uomo che aveva fatto il malgaro da quando aveva dieci anni, che aveva costruito giù a Pieve Tesino un caseificio a norma Cee costato un occhio della testa, lucido di acciai immacolati, ma che negli anni della pensione era riuscito a realizzare il sogno della sua vita: aveva ripristinato la bellissima Malga Valpiana, a 1850 metri di quota sopra Castello Tesino, perché il formaggio gli piaceva farlo “alla vecia, secondo tradizione, con la caldera e il fuoco di legna”. E perché, come spiegò Francesco in un’intervista a “La Repubblica” prima di morire nel febbraio 2009, “i modelli globali hanno svuotato il Trentino. Rese inutili le Alpi, portano al fallimento anche il resto dell’economia nazionale. Sussidiarietà, solidarietà e comunità sono l’unica risposta a liberismo, egoismo e xenofobia”.

Articolo tratto da Meridiani Montagne “ Lagorai – Cima D’Asta”